Questo post è un riassunto dell'introduzione della mia tesi di master in neuroscienze, che è stata un po' la base teorica su cui costruire il Mindtrek come pratica "formale".
L’approccio teorico agli aspetti contemplativi del Mindtrek si fonda sulla psicologia del bhavacakra, una mappa concepita in seno al Buddhismo tibetano, usualmente interpretata come una rappresentazione del ciclo esistenziale della vita e delle rinascite, ma che a livello più profondo descrive dettagliatamente le dinamiche psicologiche della nostra mente. Questo approccio antropologico e psicologico si potrebbe definire “neuro-culturale” nel senso che tenta di incrociare la visione buddhista tibetana della mente, della coscienza, della consapevolezza, delle afflizioni mentali e dei condizionamenti, con la letteratura neuroscientifica sulle ricerche più attuali nel campo della mindfulness, e con un lungo percorso contemplativo esperienziale diretto che è continuamente in fieri.
Il punto centrale della questione “mindfulness”, sullo sfondo del bhavacakra, è che un progressivo allenamento mentale alla consapevolezza delle proprie dinamiche mentali permette all’individuo di gestire in modo meno stressante gli eventi della vita e fare scelte più ponderate. La consapevolezza si manifesta quindi come una forma di libertà, come un valore ed un obbiettivo psicologico fondamentale raffinatamente elaborato nel buddismo.
Sebbene la mindfulness può avere varie funzioni a seconda delle tradizioni e degli obbiettivi, tutte queste funzioni possono essere ricondotte a due modalità simili ma profondamente diverse:
-“Mindfulness edonistica”, in cui la consapevolezza è usata come strumento per alleviare una sofferenza attuale in poco tempo e “senza sforzo”, funzione tipica della mindfulness moderna occidentale.
-“Mindfulness eudemonica” in cui la consapevolezza è usata come uno degli strumenti inalienabili per la cessazione assoluta della sofferenza, in tempi dilatati spesso a vite future, con sforzo (per es sviluppando le sei paramita) e non senza soffrire: “Si deve capire dukkha [la sofferenza], non cercare di eliminarla” spiega il monaco theravaddin Ajan Sumedho, esprimendo con tranciante chiarezza la funzione essenziale della mindfulness in tutte le correnti del Buddhismo.
Un approccio eudemonico non implica necessariamente una rinuncia ai piaceri immediati (anzi, in certi casi li strumentalizza per un bene più elevato), al contrario un approccio edonistico non permette di sviluppare di per sé il profondo benessere che tutte le pratiche contemplative ricercano, esattamente come l'ibuprofene pur riducendo il mal di testa di per sé non fa passare l'influenza.
Sia ben chiaro: le due modalità non sono in conflitto. In entrambi i casi l’obbiettivo immediato che il meditante deve porsi non è una temporanea fuga dalla realtà o un momento di relax fine a sé stesso, dato che questi due stati mentali sono decisamente “mindless”, ma al contrario è di riprendere controllo delle proprie capacità attentive, analitiche, empatiche, normalmente offuscate da un flusso di afflizioni mentali che sono la causa di ogni stress e tendenza egotica...
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