top of page

Il Quarto Tempo dei Lama Tibetani

A ogni attimo di questa vita ci sono infinite vite. Ci sembra di vivere una vita sola (o una catena di vite consecutive se crediamo nella reincarnazione), ma questo accade solo perché invece di osservare l’attimo presente, ci proiettiamo in un solo futuro tra i tanti possibili, un futuro chimera che ancora non c’è (e che di fatto non ci sarà mai) ma che ci inventiamo in ogni momento. Così ci comportiamo come treni su un binario, che non sanno dove si trovano e conoscono solo il nome della stazione di partenza e quella di arrivo.

 

ree

Meditando nella grotticella del grande dzokchenpa Longchen Rabjam Drimé Özer, Bhutan


Quando siamo angosciati, agitati, stressati è perché notiamo due o tre delle infinite vite possibili e crediamo di dover scegliere. Altre volte lo stress nasce dal fatto che abbiamo lasciato una stazione che ci piaceva e ora ci dirigiamo verso una stazione ignota. Così non solo perdiamo di vista le infinite vite disponibili in ogni momento, ma trasformiamo questa vita, questo viaggio in una causa di sofferenza.


Se solo imparassimo a lasciare questa vita fluire spontaneamente, quante frustrazioni ci eviteremmo! Invece vorremmo essere star del cinema, scalare l’Everest, possedere uno yacht o un macchinone, vivere in una villa con servitù, restare sempre giovani… insomma ci torturiamo per vivere vite forzate da idee balorde, da ambizioni prive di valore vitale.


L’attimo non è un supermercato, in cui scegliamo i cereali della marca preferita sapendo che andremo alla cassa e con un gesto onnipotente sul POS faremo nostra quella scatola semivuota.


L’attimo non ha futuro, non ha prima e dopo, non ha nessi causali e prevedibili. L’attimo è quell’intervallo sfuggente tra un respiro e l’altro che determina la nostra vita in modo naturale, senza un nostro intervento, una nostra pianificazione, senza strategia, senza timori o ambizioni. 


L’attimo è immediatamente soddisfacente, non richiede di cercare altrove. È potenzialità eternamente attualizzata. L’attimo sfugge solo quando cerchiamo di vedere il futuro appoggiandoci al passato, confusi dalle circostanze presenti. 


L’attimo era il rifugio dei Lama tibetani nei gulag cinesi, in cui potevano pregare e provare compassione per i propri aguzzini, in cui potevano vivere fuori dall’inferno. In quelle condizioni estreme il samsara era chiaramente visibile, e i Lama più forti coglievano quell'occasione terribile per raffinare la propria saggezza. Lasciato scorrere via un passato felice, abbandonata la velleità di prevedere un futuro di atroci sofferenze, il presente veniva osservato da lontano, immersi tra le urla di dolore, gli odori di morte, le visioni violente. I grandi Lama chiamano l’attimo fuggente “quarto tempo”: né passato di rimpianti e nostalgie, né futuro di attese e paure, né presente di sensazioni terribili. Un luogo di lucido riposo che permette di accogliere ciò che viene senza potenziarlo di angoscia esistenziale.


Il quarto tempo è la sede di ogni pratica contemplativa



 
 
 

Commenti


Modulo di iscrizione

Il modulo è stato inviato!

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • Instagram
  • YouTube

©2020, Guido Freddi. 

bottom of page