top of page

I tre aspetti della meditazione śamathā

Śamathā (pron. sciamatàa, shyinè in tibetano) in sanscrito vuol dire “rimanere nella quiete”. È uno stato mentale in cui i processi ruminativi che affliggono noi umani sono completamente venuti meno assicurando una eccezionale serenità e lucidità mentale. Per tutte le scuole buddhiste coltivare śamathā è l’esercizio fondamentale di qualsiasi progresso eudemonico, di vero benessere psicofisico.

Le pratiche di śamathā consistono nel perfezionamento della samādhi, della tranquillità prodotta dall’attenzione consapevole su un’oggetto prescelto. L’effetto di questo sforzo attentivo è di rimettere nelle mani del meditante (la consapevolezza) le redini (l’attenzione) dell’elefante selvatico (la mente inconsapevole), invece di lasciare che esso sia costantemente distratto, rapito in un galoppo sfrenato, angosciato da una scimmietta isterica (I’infinità di afflizioni mentali che vengono a galla dal nostro substrato di coscienza, alāya in sanscrito, qualcosa di molto simile al subconscio) .

Il perfezionamento della samādhi è un processo graduale che si sviluppa in tre fasi: rilassamento, stabilità e lucidità. Le tre fasi possono anche essere intese come tre stati psicofisici da coltivare in ogni sessione.

Si inizia la meditazione con una fase di rilassamento, in cui liberiamo la mente dal velcro della ruminazione, dei processi mentali subconsci, offrendole come appiglio un oggetto prestabilito, per esempio il respiro. Spesso la corrente ruminativa è così forte che continuamente trascina via la nostra attenzione. Al rilassamento si sovrappone la fase della stabilità (o meglio della stabilizzazione): attraverso un continuo sforzo di memoria prospettica ci svincoliamo dal velcro ruminativo e torniamo con l’attenzione sul respiro (o altro oggetto prescelto), senza cercare di bloccare la corrente del fiume del subconscio, ma lasciandola scorrere sullo sfondo della nostra consapevolezza. Ritornando continuamente al respiro il potere del velcro delle afflizioni mentali diminuisce e riusciamo ad allungare il tempo in cui nulla distrae la nostra consapevolezza. L’effetto di questa crescente stabilità è una maggiore quiete interiore ed una maggiore lucidità mentale che possiamo poi applicare anche nel quotidiano.

g.f.

La scimmia (subconscio carico di afflizioni mentali) distrae l’elefante (la mente inconsapevole) inseguito da un meditante (la consapevolezza), l’epilogo vuole che l’elefante rasserenato seguirà il meditante (realizzazione dello stato di śamathā).



11 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Kommentare


bottom of page